Il liceo Pilo Albertelli, il PNRR, il digitale e la scuola della Costituzione

disto-pedagogia

Le nuove tecnologie ti stanno dando la libertà di non dover scegliere.

Spot televisivo TIM, 2016

di Anna AngelucciAssociazione nazionale “Per la scuola della Repubblica

La vicenda del liceo Pilo Albertelli (con il suo consiglio d’istituto che rifiuta i progetti di scuola digitale finanziati coi fondi del PNRR) sta assumendo una dimensione molto ampia ed offre a tutti noi – genitori, docenti, studenti, esperti, studiosi – la preziosissima occasione di riflettere sul tema delle trasformazioni implicate nella coazione al digitale imposta massicciamente dal PNRR, a scuola e oltre.

Se il dibattito sollevato trascende il dato concreto e investe questioni politiche, come è stato giustamente osservato, direi che questo non costituisce un limite. Mi permetto di sottolineare che molte nostre scelte di vita trascendono il dato concreto e rimandano a questioni politiche. Comprare un libro nella libreria di quartiere o su Amazon; utilizzare su Internet piattaforme proprietarie o pubbliche; segnare nostro figlio in una scuola piuttosto che in un’altra; invitare a un dibattito un relatore e non un altro; approfondire in classe o in famiglia un certo argomento e tralasciarne altri; indossare una maglietta di un brand noto, di una cooperativa equa e solidale oppure anonima; comprare il latte al supermercato o al negozietto sotto casa: sono tutti gesti concreti che implicano scelte di natura politica, ove politica rimanda a polis, politiké, ovvero al nostro modo di essere cittadini e di vivere nel mondo.

A maggior ragione, nella scuola e nella dimensione didattica e pedagogica che le appartiene costitutivamente, ogni nostra scelta è e deve essere “politica”.

Del resto, tutto il PNRR – nel suo modo di declinare per l’Italia i fondi europei del Next Generation Eu – sottende una visione politica della società che si risolleva dopo la crisi della pandemia facendo una precisa scelta di campo che orienta gli investimenti economici: imboccando la strada della

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Ostracismo per il ministro Valditara, ma lontano, molto lontano dalla scuola

Finalmente grazie ai NO chiari e argomentati dei Consigli di Istituto del liceo Albertelli di Roma e del del liceo Frattini di Varese si è cominciato a parlare del PNRR nelle scuole e la maggior parte di coloro che prendono la parola sono persone (studenti, genitori e insegnanti) che la scuola la vivono direttamente e spesso con molta sofferenza.

Ancora una volta si conferma che la lotta e il conflitto pagano forse non ancora in termini pratici (il PNRR fuori dalla scuola!!!) ma certamente in termini di consapevolezza e spazi pubblici conquistati.

Gli interventi, in questi giorni, sono stati per la maggior parte incentrati sul confronto di ciò che serve urgentemente alla scuola e lo sperpero di miliardi destinati alle macchine, agli strumenti di cui la scuola non ha bisogno, anzi spesso la digitalizzazione pagata a caro prezzo è un ostacolo per accedere alle conoscenze, ai saperi cui, semmai, macchine e strumenti dovrebbero facilitare

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Liceo Albertelli. Le ragioni della bocciatura dei finanziamenti europei vincolati solo ed esclusivamente alla digitalizzazione

Davide

Pubblichiamo il documento redatto da genitori componenti del consiglio di istituto del Liceo Pilo Albertelli di Roma in cui si esplicitano le ragioni del rifiuto.
Questa coraggiosa presa di posizione è importante per diverse ragioni, ne elencheremo due su tutte:

1 – accende i riflettori sulle contraddizioni dei nostri ottusi decisori politici alla luce della recente indagine commissionata e approvata dalla 7ª commissione permanente (Istruzione Pubblica, Beni Culturali) del Senato della Repubblica. Il titolo dell’indagine dice già tutto: Impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento.

…Dal ciclo delle audizioni svolte e dalle documentazioni acquisite, non sono emerse evidenze scientifiche sull’efficacia del digitale applicato all’insegnamento. Anzi, tutte le ricerche scientifiche internazionali citate dimostrano, numeri alla mano, il contrario. Detta in sintesi: più la scuola e lo studio si digitalizzano, più calano sia le competenze degli studenti sia i loro redditi futuri.

Qui il documento completo della commisione

2 – Dimostra sia possibile, anche per una piccola comunita scolastica come quella del liceo Albertelli, far vincere il pensiero razionale, gli argomenti critici malgrado gli avversari siano l’espressione dei poteri che stanno imponendo alla scuola italiana, ma non solo, conformismo ed ubbidienza asfissiante.

Non c’è dubbio sia difficile ed impegnativo sostenere le posizioni di questi genitori e docenti controcorrente, ma in questo momento crediamo sia importante far conoscere e diffondere il risultato del Consiglio d’Istituto del Liceo Albertelli di Roma.
Invitiamo gli eredi di Pilo Albertelli, critici nei confronti della delibera del

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Digitalizzazione, privatizzazione, gerarchizzazione: PNRR e INVALSI porta d’accesso alla scuola de-umanizzata

PNRR-Scuola

La scuola pubblica, quella disegnata dalla Costituzione o, per meglio intenderci, quella di tutti e tutte, è da decenni sotto l’attacco della furia privatizzatrice e di subordinazione alle proprie logiche da parte del capitalismo liberista.

Le politiche educative degli ultimi tre decenni in Italia si inscrivono in un quadro internazionale che ha attribuito agli apparati formativi un compito specifico: quello di formare capitale umano per garantire lo sviluppo del sistema produttivo, su indicazioni puntuali dei grandi gruppi industriali e finanziari. Questa pedagogia economica intende formare un nuovo tipo umano: un produttore/consumatore strategico e competente.

Le linee di riforma della “nuova scuola” subordinata agli interessi capitalistici fanno perno su decentralizzazione e trasformazione dell’istruzione da funzione dello Stato a servizio, su un orientamento al mercato sempre più evidente con enfasi sul capitale umano, sulla imprenditorializzazione, sulla

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L’autonomia differenziata e la pressione sulla libertà d’insegnamento

Autonomia differenziata

L’enfatizzazione dell’autonomia scolastica fa buon gioco al processo politico in atto. Il rischio non è solo quello di aggravare le differenze territoriali,  ma di spingere ulteriormente verso un’offerta formativa sempre più legata alle esigenze espresse sui territori dal mondo imprenditoriale.

Di Renata Puleo da Altraeconomia.it

Per allevare, sostenere la vasta operazione politico-culturale della “autonomia differenziata” serve tenere le redini dei percorsi di istruzione, di formazione delle nuove generazioni, operare sulla scuola tutta e sui suoi intellettuali organici, gli insegnanti. L’enfatizzazione dell’autonomia scolastica, voluta da un governo di sinistra a propensione efficientista di taglio europeo (Legge 59/1997 art. 21 e Regolamento Dpr 275/1999), fa buon gioco al processo delle autonomie locali e alla presa sulla materia istruzione, nell’ambigua lettura degli articoli 116 comma 3 e 117 lettera n) della Costituzione.

Come è stato sottolineato in tanti contributi critici, gli istituti scolastici godono di un’autonomia compromessa dal tratto giuridico discendente (dunque ancorata a disposizioni di ordine superiore) e da un’offerta formativa sempre più legata alle esigenze espresse sui territori dal mondo imprenditoriale. Ogni singolo istituto scolastico è a sua volta un’azienda, un piccolo sistema teso a fornire un “prodotto in uscita” conforme alle esigenze del mercato del lavoro, nell’oblio della sua funzione disinteressata alla formazione del cittadino come soggetto critico. Dunque, l’autonomia coniugata con competitività e competizione sembra ormai il tratto destinale della scuola. Vigente il contratto Collettivo nazionale di lavoro che regola il rapporto fra docenti e ministero dell’Istruzione, non risulterà difficile alle Regioni autonome incunearsi sui punti nevralgici, sui nervi scoperti di tale rapporto.

Il reclutamento attuale è retto sul paradosso fra le quote fissate per ogni classe di concorso a livello centrale e i contingenti regionali, vena aperta relativamente ai bandi concorsuali e alla gestione del precariato che obbligano spesso gli insegnanti a spostamenti di Regione in Regione per poter conseguire

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Ripensare la valutazione?

podio

di Renata Puleo

Propongo alcune riflessioni a margine di due incontri il cui tema ruotava attorno alla valutazione “descrittiva-formativa-educativa” al cui nucleo sta l’eliminazione del voto numerico come misura, voto che ritorna, per obbligo giuridico, nella valutazione intermedia e finale, nonché con le somministrazioni rituali delle prove INVALSI (Assemblee pubbliche rispettivamente all’IC Iqbal Masih e all’IC Di Donato di Roma: registrazione personale del primo; su canale youtube il secondo Scuola e Valutazione, organizzato da <<Apriti Scuola>>).

Poiché dell’oggetto degli incontri ho parlato e scritto con altri (vedi sinistrainrete.info), richiamo solo una questione, mentre dedico qualche parola alle prove INVALSI, vero e proprio convitato di pietra dei due incontri.

Chiamare le cose con il loro nome

Come ormai si sa, dato il clamore mediatico (https://video.corriere.it/scuola/liceo-senza-voti-senza-stress-ecco-come-funziona-morgagni-roma/2e23ca92-7623-11ed-8b31-7101dab59dee#:~:text=Il%20liceo), l’esperienza Scuola delle relazioni e delle responsabilità, è stata avviata in un ciclo/classe (non tutto l’istituto) al Liceo Morgagni di Roma. Riprendo alcune perplessità su questa esperienza che, con qualche tratto di arroganza, e forse un po’ di buona fede ed entusiasmo, è stata definita sperimentazione. La scuola italiana è solita usare impropriamente questa definizione ogni qual volta si mette mano a una qualche innovazione, a un cambiamento organizzativo e/o didattico, pur in assenza dei requisiti tipici del metodo della ricerca, anche per gli studi di caso, per i cosiddetti semilavorati e l’indagine qualitativa. Nel caso di cui parlo rilevo: 1. mancanza di un’ipotesi frutto dall’osservazione di uno o più fenomeni complessi (giudizio valutativo, misura/conteggio su scala, impatto sulla motivazione e adesione al compito degli attori implicati nel processo insegnamento/apprendimento) da cui si evinca che il voto è la causa probabile dei guasti relazionali nella relazione insegnanti/alunni, è fattore ansiogeno e stressante capace di ostacolare l’apprendimento; 2. assenza di un campione e di

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Fenomenologia delle “prove comuni”

Di Gianluca Gabrielli da Comune.info

 

L’invalsi non basta più, bisogna che ogni scuola si crei la propria piccola invalsi e produca tanti grafici colorati accompagnati da abbondanti dosi di retorica valutativa. In questo articolo Gianluca Gabrielli, insegnante di scuola primaria, condivide alcune riflessioni dopo aver sperimentato con la sua classe cosa sono quelle che vengono chiamate “prove comuni”: con grande precisione e diversi esempi spiega perché contribuiscono a danneggiare la didattica e perché ogni volta che si prova a trasformare in un dato numerico la valutazione di un processo multiforme come quello dell’apprendimento si impoverisce l’osservazione della realtà

È inutile, non ce la posso fare… Sono quasi trent’anni che insegno nella scuola primaria e anche con la migliore disposizione possibile non riesco a fare un solo passo nella correzione di queste “prove comuni” senza fermarmi più e più volte di fronte a ostacoli che mi sembrano insormontabili. Il protocollo dice che dovrei attribuire dei punteggi sulla base delle risposte dei bambini e delle bambine. Ho di fronte a me una moltiplicazione, il risultato in riga è corretto, il risultato in colonna no; devo attribuire il punto? Un altro bambino esegue un’operazione diversa da quella che ho assegnato poiché copia erroneamente il moltiplicatore della riga superiore: la sua operazione è corretta, ma evidentemente il risultato non corrisponde. Ha sbagliato? Ancora: due bambini fanno errori nei calcoli parziali, uno sbaglia un 6×3, un altro l’addizione finale dei risultati intermedi: come faccio ad assegnare lo stesso valore “zero” a questi errori?

E questa è solo una moltiplicazione. Come faccio, alla mia età, a cancellare la qualità degli errori standardizzandoli nella secca alternativa sì/no? Che senso ha?

È la prima volta che mi trovo ad eseguire prove comuni. Sono state introdotte nel mio istituto il mese scorso come procedura obbligatoria per il monitoraggio del Piano di miglioramento incluso nel Ptof. Insieme ad alcuni colleghi abbiamo proposto una procedura di miglioramento alternativa, che ponesse al centro del confronto l’azione didattica di noi insegnanti e non la raccolta di dati quantitativi dalle prove degli studenti; proponevamo di ragionare sul

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